
Luca e Gaia avevano 16 anni, quando si sono conosciuti sfiorandosi più volte tra le vie di una zona periferica di Milano. Entrambi in bicicletta, entrambi con le stelle negli occhi. Erano passati mesi, prima di scambiarsi le prime parole, i primi sorrisi. La timidezza li bloccava sempre al via. La timidezza bloccava il loro desiderio di esserci. Presenti nella vita dell'altro.
Lui parlava continuamente di lei con l'amico del cuore. Lei tappezzava diari e muri con il nome di lui.
Erano gli anni 90 e Max Pezzali riempiva camerette e abitacoli di automobili dei genitori e degli amici più grandi. Innamorati pazzi senza averlo ancora detto ad alta voce.
La compagnia era nata di lì a poco, così inevitabilmente, in un giorno della primavera del 1992. E si sa, nelle compagnie non esistono i nomi, ma solo nomignoli nati da un sabato sera storto, da una passione o da qualche difettuccio. E allora non c'erano più Luca e Gaia, ma Trilly e l'Apprendista stregone. C'erano il Biondo, il Divo e Bomber. C'erano Pisolo, Bambolina e Dumbo. 8 anime che viaggiavano all'unisono legate da un solo battito. Vasco a squarciagola. Una solo cosa li divideva, una volta alla settimana, due squadre di calcio che li portava da una curva all'altra.
Nella Sud c'erano Luca, Dumbo e il Biondo. Nella Nord tutti gli altri. Novanta minuti di sfottò agli amici. Perché "Milano siamo noi" urlata al cielo.
Gaia aveva una maglia nerazzurra che le faceva da vestito. Un regalo a cui era legatissima. La numero 8 di Nicola Berti, autografata un giorno dell'estate precedente in quel di Salsomaggiore, nella salumeria di famiglia di "cavallo pazzo", questo il soprannome di quel ragazzone dal sorriso ammaliatore, la corsa dinoccolata e la risposta sempre pronta, di cui Gaia era pazza.
Luca invece non si staccava mai da una sciarpa, ricordo della Champions vinta dal Milan a maggio del '90 al Prater di Vienna. Quella fu l'ultima volta che suo nonno esultò per le prodezze di Van Basten, Gullit e Frank Rijkaard.
Si lasciavano ogni volta, con un bacio e una presa in giro, vicino al baretto dello stadio, sotto la nord. Per 90 minuti non si sentivano, non c'erano certo i cellulari a far vedere tutto il loro mondo. Si ritrovavano finita la partita al solito posto. Chi con un sorriso che non finiva mai, chi con bronci e rivendicazioni. Tutti si sfottevano per un po' e poi l'amore riportava tutto al suo posto. Abbracci, baci e risate.
Luca ci provava sempre. "Se avremo un maschio si chiamerà Rud".
Gaia scuoteva la testa e sorridendo sparava un "E se sarà femmina ...Rudina?"
Tutti scoppiavano a ridere. E loro si stringevano più forte. E ritornavano a casa cantando Vasco a squarciagola e facendosi scherzi e dispetti.
Il calcio per loro era un continuo sprono a fare meglio nella vita. E così i cinque in fisica diventavano otto, come i rigori parati dall'"Uomo Ragno". I no dei genitori si trasformavano, qualche volta, in sì e loro si sentivano come se avessero appena sollevato la Champions davanti a milioni di persone festanti. E l'amore? L'amicizia? Erano gol all'incrocio dei pali, in rovesciata, all'ultimo minuto.